La resistenza antimicrobica è un problema serio, che va affrontato pertanto con serietà ed evidenze scientifiche. Non era questo il caso dell’obiezione, presentata dalle sinistre al Parlamento europeo, sul regolamento Ue che designa quali antimicrobici riservare all’uomo, eliminandone l’uso in ambito zootecnico. Grazie al nostro impegno, siamo riusciti a respingere questa proposta. Il principio è giusto, lo ribadiamo, ma limitare l’utilizzo in generale di antimicrobici non può tramutarsi in misure che mettono a rischio la salute e il benessere degli animali. Tanto più considerato che la proposta delle sinistre avrebbe riguardato anche gli animali da compagnia, come cani e gatti, che non sono destinati al consumo alimentare, e dunque non costituiscono rischi per l’uomo. Perché impedire loro di essere curati con antibiotici salvavita? Perché sottoporli a inutili sofferenza? Lo stesso vale per gli animali allevati: in ambito zootecnico, vige il perentorio rispetto dei tempi di somministrazione entro i termini stabiliti ai sensi di legge, in modo che gli antimicrobici, eventualmente utilizzati, vengano smaltiti dall’organismo dell’animale prima del consumo da parte dell’uomo. L’eventuale assimilazione, ci dice la scienza, è in questi casi assai remoto. Certe, invece, sono le conseguenze per la salute di questi animali e per i nostri allevatori.