Il Veneto non fa più parte della lista dell’Easa, l’agenzia Ue per la sicurezza aerea, delle regioni a rischio coronavirus. Nell’elenco, compaiono ancora diverse regioni europee, tra cui Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, oltre a mete come la Catalogna, Madrid e Parigi. Da veneta, sono contenta della decisione, ma le perplessità sulla gestione da parte di Bruxelles restano e sono tante. Innanzitutto, circa un mese fa la Commissione aveva annunciato in pompa magna delle linee guida comuni per far ripartire il turismo.
Queste linee guida dovevano essere accompagnate da una mappa epidemiologica da parte dell’Ecdc, l’agenzia Ue per le malattie infettive, che non è stata mai pubblicata. In parallelo, un’altra agenzia Ue, l’Easa per l’appunto, ha diramato degli elenchi aggiornati sugli aeroporti a rischio Covid per i viaggiatori. Il 29 maggio, c’era ancora il Veneto. Dopo pochi giorni, il Veneto non c’è più. Cosa sia cambiato in una settimana è un mistero.
Sta di fatto che la lista dell’Easa di fine maggio è stato il classico pezzo di carta che la Grecia e l’Austria hanno usato per giustificare il loro stop ai viaggi in Italia. E il paradosso dei paradossi è che l’Easa basa le sue valutazioni sui dati dell’Ecdc, che pero’ non sono stati ancora resi noti al pubblico. Un caos totale che si sta risolvendo in un danno d’immagine per il nostro Paesi e di cui si stanno approfittando diversi Stati membri, tra cui anche la Croazia, per fare concorrenza sleale ai nostri operatori turistici. Un caos le cui colpe ricadono in buona parte sulla Commissione europea.